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Viaggio della X classe in Armenia

Non si è trattato solo di una gita, ma di un´esperienza di quelle che lasciano cicatrici, quelle che non sono dolorose in quanto non si possono vedere, ma rappresentano una fessura di ricordi ormai immagazzinati nel nostro cuore.

Il viaggio in aereo, diritto, senza fatica né curve, non ci ha aiutato a realizzare del tutto che i nostri genitori ci avessero lasciati partire con fiducia per una meta in realtà definita solo dalle nostre immagini ed aspettative. Il viaggio in aereo, appunto diritto, una sola strada per andare e tornare, ma che si fatica a ricordare visto che i soli riferimento rappresentano o il lontano paesaggio a migliaia di metri sotto di noi o qualche nuvola passeggera, della quale, con i suoi colori visti dall´alto, non ci si può dimenticare. La strada più semplice mai percorsa, ma priva di rotonde e incroci tanto da non poterla ripercorrere a memoria.

I pregiudizi hanno la meglio se la realtà assomiglia a ciò che ci si immagina della realtà stessa. Sapere che L´Armenia fosse un paese relativamente più povero del nostro faceva sì che non si potesse disprezzare.

La loro "povertà" è quella che noi italiani reputiamo essere la nostra povertà soltanto proiettata altrove, e questo paragone è sbagliato. Loro la nostra povertà non la sentivano in quanto non gli apparteneva: avevano la loro, ben differente dalla nostra.

Il nostro – inteso come classe – vissuto in Armenia è stato a dir poco personale. C´era chi aveva il timore di finire in un paese del terzo mondo, chi era teso per il volo e qualcun altro non vedeva l´ora di partire, ma tutti noi condividevamo la stessa e unica domanda: “ma come sarà?”. D´altro canto nessuno era mai stato a Yerevan perciò nessuno sapeva cosa aspettarsi, i pregiudizi volavano tra l´aria tesa della classe che non vedeva l´ora di partire, chi più e chi meno.

La settimana era volata via, condividevamo ogni pomeriggio insieme alla classe armena che era febbrile dal conoscerci e mostrarci i posti che più amavano della città; come delle guide, ci tenevano che fossimo tutti felici e di stare bene, e così è stato. Tra le strade di Yerevan si percepiva la presenza dell´ex Unione Sovietica, dai suoi spogli alti palazzoni e dai monumenti lasciati a metà, ma la buona compagnia alleggeriva le giornate nuvolose che coprivano l´Ararat. La condivisione delle gite in montagna ci aveva legati tutti, così facendo la barriera linguistica si dimezzava e anche chi non parlava inglese faceva parte di quella amicizia multietnica. Il legame giocoso che si era instaurato tra le classi era veramente bello: nonostante una sola settimana, avevamo legato fra scherzi e risate; abbiamo avuto l´opportunità di osservare la storia di quel paese attraverso le parole e gli occhi dei ragazzi. Uno di questi è il concetto di povertà che avevano loro, ben diverso da quello occidentale: era più che altro una realtà di semplicità e, benché si vedessero con i nostri occhi le condizioni più povere del centro, per loro era la normale realtà. L´accoglienza e l´onestà di queste persone valeva più di un villaggio sperduto, o di condizioni di vita per noi, impensabili, perché è questa la forza del popolo armeno; la fiamma di indipendenza e calorosità che per secoli non si è mai spenta.

La differenza maggiore che ci divideva erano le relazioni tra maschio e femmina, molti tra i ragazzi erano legati ad una mentalità che per certi aspetti viene ritenuta arcaica, ma per altri semplicemente educata, data dall´influenza della Chiesa Gregoriana; per questo in presenza di ragazze gli armeni non osavano dire parolacce e sgridavano, come si fa con i bambini, gli italiani, che a differenza loro, non si facevano problemi.

L´attività di euritmia che praticavamo la mattina era finalizzata a uno spettacolo finale, che a dirla tutta, è stato un altro momento di condivisione sia per i professori che per noi. La professoressa Heike è stata la prima a volerci mandare in Armenia; grazie ai suoi contatti abbiamo preso il volo

con tutta la fiducia e la speranza che si possono avere. Abbiamo preparato due poesie diverse, in due gruppi composti da italiani e armeni; gli scritti trattavano di un elemento comune: la vita, in diverse forme nella natura e nel mondo animale, per incoronare la primavera. Dopo il trambusto e l´esasperazione delle prove, abbiamo concluso lo spettacolo con l´inchino più disordinato nella storia dell´euritmia per poi ritrovarci ancora e passare le ultime quarantotto ore di tempo insieme.

La domenica era un misto di malinconia e felicità: nessuno aveva intenzione di pensare al giorno dopo che sapevamo sarebbe arrivato in fretta. Infatti il lunedì e l’incombere dell´imminente volo per Venezia Marco Polo ricordava a tutti il ritorno a casa. Intonando le note di Country Roads abbiamo salutato dal pulmino coloro che avevano reso quella settimana speciale, le persone che ci hanno fatto osservare un paese lontano dal nostro.

Tutto il tempo passato insieme ci ha resi un enorme gruppo che ha condiviso dei momenti indimenticabili, la semplicità con cui ci divertivamo, le energie che non finivano mai e la curiosità sono tutte qualità e momenti che ci siamo portati fino in Italia, lasciando un paese e una classe più unita.

Sophia P.,  Elia S.

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