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Riflessioni sullĀ“epoca di geometria analitica

Che qualità umane bisogna sviluppare per portare un impulso nel mondo? Su questa domanda ci ho riflettuto partendo dal fatto che, come Cartesio ha lasciato un grande segno nella storia, anche io vorrei poterlo fare. Per questo ho pensato a un modello di ispirazione che rispecchi determinate qualità, quali la perseveranza, la determinazione, la disciplina, la chiarezza di pensiero e direzione, la gentilezza, l’amore per il prossimo, al fine di raggiungere questo scopo al meglio. Per lasciare un segno, prima di avanzare in questa impresa, secondo me dobbiamo osservarci con acutezza per imparare a conoscerci, notare i nostri punti di forza e le nostre debolezze, le nostre difficoltà.

In riferimento all’epoca appena svolta, una mia difficoltà personale è la matematica, che da sempre non mi è molto… simpatica, forse perché ho troppi pregiudizi nei miei confronti; è come se avessi una voce interiore che mi pone davanti un sacco di “ma”: “ma … forse non sono capace”, “ma… tanto non ce la faccio”, “ma … non capirò mai niente”. Questo fa nascere una svalutazione di me stesso e per trasformarla mi aiuterebbe un incoraggiamento, oppure giudicarmi meno ed essere un po’ più gentile con me stesso. Essere gentile con se stessi non significa arenarsi e non fare nulla, bensì convincersi che domani farai meglio di oggi. Posso sbagliare tante volte, ma se persevero ce la faccio! A questo proposito mi aiuta sicuramente scrivermi le cose che devo fare, dalle più semplici alle più difficili, per non rischiare di lasciare nulla in sospeso.

Ascoltando Cartesio, possiamo imparare molte cose: una di queste è che la matematica è l’unica scienza certa, che dà ordine, a differenza di altre che possono essere discutibili. Non si potrà ma mettere in dubbio che 5 è uguale a 5, ma a questo punto mi sono chiesto: di fronte alla morte, serve davvero sapere come si svolge un teorema, un’equazione? In queste situazioni dobbiamo sviluppare altre qualità ancora, in primis il non avere paura, anche se è difficile. Se un mio caro venisse a mancare vorrei riuscire ad essere saldo e continuare a vivere la vita, essere felice per i momenti belli trascorsi insieme e non essere triste perché non c’è più. Secondo me questo lo spiega bene Robin Williams nel film Patch Adams: «Cos’ha la morte che non va? Di cosa abbiamo così mortalmente paura? Perché non trattare la morte con un po’ di umanità, dignità e decenza e, Dio non voglia, perfino di umorismo? Signori, il vero nemico non è la morte. Vogliamo combattere le malattie? Combattiamo le più terribili di tutte: l’indifferenza […]. Non lasciatevi anestetizzare, non lasciatevi intorpidire di fronte al miracolo della vita. Vivete sempre con stupore […]. E non aspettate di stare in corsia per acquistare la vostra umanità. Sviluppate subito la capacità di comunicare, parlate con gli estranei, con gli amici, con chi sbaglia numero, con chi vi capita».

Per fare ciò bisogna andare diritti per la propria strada senza lasciarsi influenzare da nulla e da nessuno.

Mi chiedo: Io, Francesco, ce la farò? Sarò pronto a fare le mie scelte anche se disattendendo i miei genitori, i miei insegnanti? Voglio seguirli e fidarmi di tutto o fare come meglio ritengo, mettendo in conto che ci potrebbero essere anche delle conseguenze? Sento che senza spavalderia e con ponderatezza sarà la direzione che voglio prendere, anche se al momento non mi sento completamente libero e capace di farlo.

Risuonano in me le parole di padre Bernardino, un frate francescano estromesso dall’ordine perché divergente: «Ho disobbedito per amore piuttosto che obbedire per paura».

Ora vorrei fare una domanda e a lei, prof.: Sarebbe in grado di accettare ed accogliere le scelte di un suo alunno, nel momento in cui si discostano dal suo pensiero e dalle sue convinzioni? La relazione sarebbe compromessa?

Francesco T. XI cl.

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