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Il mio PCTO al Mount Camphill

Per la mia esperienza di PCTO sono stata accolta da una struttura situata nel sud dell´Inghilterra in un paesino chiamato Wadhurst.

Il mio viaggio è iniziato l’8 gennaio quando con la mia grande valigia mi sono recata all´aeroporto di Venezia, dove ho preso il mio primo volo da sola, diretto a Londra. Penso sia stato a quel punto che mi sono accorta di non poter tornare più indietro ed è in quel momento che la mia avventura è iniziata…

ll movimento Camphill è stato fondato nel 1939 in Scozia, con l’obiettivo di costruire delle comunità ispirate all´antroposofia, in grado di offrire a bambini con bisogni speciali un ambiente in cui crescere e lavorare in maniera salutare. La filosofia del movimento Camphill si ispira ai principi educativi e sociali delineati da Rudolf Steiner, secondo il quale «uno spirito e un destino perfettamente formati appartengono a ogni essere umano».

Secondo questo principio il Camphill costruisce un percorso formativo differente per ogni singolo studente, circondandolo di attività ed esperienze che possano essere produttive ed efficaci per la sua persona

La comunità si trova sulle colline londinesi in un ex convento di frati, ospita una dozzina di residenti e molti alunni che frequentano giornalmente.

Il Mount offre la possibilità a ragazzi di tutto il mondo di fare un anno di volontariato all’interno della struttura. Questa è un´occasione molto educativa per gli studenti, in quanto conoscono persone nuove tutti gli anni, imparando ad approcciarsi agli altri, a culture diverse e vincendo la timidezza.

La giornata iniziava alle 6,45 con la preparazione della colazione per tutti, alle 7.45 ci si ritrovava nella gallery per iniziare la giornata cantando insieme, recitando una poesia e ascoltando un brano della Bibbia; poi ci si spostava nella sala da pranzo dove veniva consumata la colazione. Sono rimasta stupita da come tutto venisse sempre curato nei minimi dettagli: la disposizione dei tavoli (in modo che nessuno desse le spalle agli altri), le targhette per classificare il cibo senza glutine, la cura nel capire i bisogni altrui ed assecondarli. Dopo la colazione veniva dedicato del tempo alla casa e alle pulizie, poi alle 9 iniziavano le lezioni. Ho avuto la possibilità di provare quasi tutti i laboratori che la struttura propone: pasticceria, cucina, giardinaggio, tessitura, arte, euritmia, ginnastica, musica, modellaggio...

Nel primo anno di college gli alunni provano un po’ tutto, capendo cosa preferiscono maggiormente fare e ciò che può aiutarli nel loro percorso di vita. Negli anni successivi, scelgono in autonomia i laboratori che desiderano proseguire. Ci sono anche lezioni di matematica, inglese ecc.. chiamate, ”lezioni più basiche” che vengono svolte a diversi livelli, a seconda delle abilità.

La filosofia è improntata sul raggiungere maggiore consapevolezza di se stessi, di quello che si è in grado di fare e che piace di più e diventare indipendenti. Per questo ci sono anche “lezioni di vita” nelle quali si discute su cosa si vuole fare una volta finito il college o semplicemente su come prendere un autobus o ordinare un caffè al bar. Cose che per molti sono scontatissime, ma per qualcuno sono una grande sfida, che va affrontata.

Alle 13,00 si pranzava, per poi tornare a lezione alle 14.30. Le lezioni pomeridiane non erano molto diverse da quelle mattutine: c’era euritmia, massaggio terapeutico, corsi di nuoto… Dopo la pausa per il tè alle 16,00, consumato con il latte in vero stile britannico, la giornata finiva e si tornava a casa. I ragazzi andavano a riposare e i volontari a turno preparavano la cena, che veniva servita alle 18,00. Dopo aver mangiato e riordinato c’era un’attività serale: coro, serata film, tai-chi, o semplicemente stare insieme a chiacchierare nell’area comune. I ragazzi andavano a letto verso le 20.30 e venivano aiutati a lavarsi e a prepararsi per la notte.

Il sabato e la domenica le lezioni erano sospese e i ragazzi potevano svegliarsi più tardi. La mattinata del sabato era destinata alla cura della casa, mentre il pomeriggio al riposo; alla sera c’era la cena silenziosa: una cena molto curata, con tante portate; i ragazzi e i volontari si vestivano molto eleganti e consumavano la cena in completo silenzio, dopo aver ascoltato il passo della Bibbia che era stato letto durante la settimana. Il silenzio durava dall’accensione della candela al suo spegnimento, quando i ragazzi potevano tornare nelle proprie camere a riposare.

La domenica mattina veniva celebrata una messa alla quale partecipavano anche ragazzi ormai diplomati e adulti, che vivono in cohousing, strutture facenti parte della comunità, e svolgono la loro vita in autonomia, accompagnati da volontari che li aiutano nella loro routine. L’intera comunità si riuniva e veniva letta la Bibbia, veniva fatta una benedizione e si cantava tutti assieme. Dopodiché veniva fatto il brunch (che comprende colazione e pranzo): c’erano tante cose da mangiare, anche molto particolari. La domenica solitamente proseguiva con una gita nei paesi vicini o sulla costa.

La vita all´interno di un Camphill è sicuramente una vita tranquilla, circondata dall’amore di tutta la comunità. Il Camphill è amore, amore di persone che dedicano la loro vita agli altri, è gentilezza, comprensione, affetto, pazienza, pazienza nel capire che abbiamo tutti i nostri tempi e che siamo tutti diversi.

Fin da subito, appena arrivata, fin da quando ho visto quel cartello blu attaccato sulla porta con scritto “welcome Anna”, fin da subito mi sono sentita a casa, protetta, al sicuro.

Mi sono fidata delle persone attorno, perché mi sentivo a casa, con persone buone e gentili, e questa è una delle cose che mi fa più commuovere se ci penso. Mi fa commuovere l’amore che sentivo nell’aria quando la mattina aprivo la finestra, mi scende una lacrima se penso a tutte quelle famiglie che vivono all’interno della comunità, e piango se penso a quei bambini che sono cresciuti osservando questi omoni grandi, che sembrano pericolosi e in fondo sono i più buoni mai esistiti.
Prima di partire non avevo mai lavorato con persone con disabilità, e sono partita impaurita all’idea, mi faceva paura perché non so cosa pensino.
C’era questo ragazzo, Ben, con gli occhi azzurri come il mare, lui osservava in silenzio, osservava intorno, ti osservava, osservava ogni singola parte del tuo viso, ma penso fosse più affascinato dagli occhi, perché mi guardava come per chiedermi qualcosa, mi osservava e mi trasmetteva tranquillità. Ognuno dei ragazzi con cui ho avuto il piacere di lavorare aveva qualcosa di speciale, come una magia: Harry la sua immensa empatia, Tom la sua intelligenza, Eleanor la sua dolcezza, Ben il sorriso, William l’intelligenza, Jacob l’eleganza. Abbiamo tutti un involucro che ci protegge, ma se scaviamo a fondo, ciascuno di noi ha la propria lucina che splende, e loro ne avevano una bella luminosa. Queste persone mi hanno insegnato tanto, mi hanno commossa, fatta ridere, fatta arrabbiare e resa orgogliosa.

Sono partita pensando di voler insegnare qualcosa, pensando di voler dare il mio contributo, di essere utile… in sole tre settimane loro mi hanno dato il mondo.

Ho amato ogni singolo istante di questa esperienza, perché mi ha resa più forte, più indipendente, più coraggiosa, più sensibile, aperta, gentile, insomma… più umana.

Sicuramente le difficoltà sono state tante, per prima la lingua che, nei primi giorni, ha creato una barriera tra me e gli altri non indifferente. Ma questo non mi ha pesato, anzi mi ha fatto assaporare ancora meglio questa esperienza e accrescere la mia capacità linguistica, e di questo sono molto grata.

L´unica parola che potrebbe racchiudere il tutto è gratitudine. Gratitudine verso la scuola, i miei genitori, verso me stessa, gratitudine verso la vita che mi ha permesso di vivere questa esperienza in maniera più cosciente. E soprattutto gratitudine verso il Mount, verso Valentina, Caitlin, Nikky, e ogni singola persona all’interno del Mount che con il suo contributo ha reso la mia esperienza indimenticabile.

Sono nata in un mondo che non mi piace. Un mondo fatto di giudizi, barriere. Un mondo di persone fatte con lo stampo: tutte uguali che ripetono e vivono la stessa identica vita, sotto prospettive diverse. Ora per me se n’è aperto uno diverso: un mondo che trovo più colorato, più buono, che guarda in faccia tutti e trova il posto adatto a ciascuno.

E io, detto sinceramente, mi sono follemente innamorata di questo nuovo tipo di mondo.

 

Anna C. XI cl.

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