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La recita di ottava classe: un progetto, molti artefici

L’arte recitativa, coltivata nella scuola Steiner-Waldorf già nel periodo del Giardino d’infanzia e poi nelle prime classi, giunge ad un certo culmine in ottava, in occasione della preparazione e messa in scena di un’opera teatrale. Per realizzare questo lavoro, che vuol essere un progetto completo in tutti i suoi aspetti, il maestro di classe si avvale delle collaborazioni dell’insegnante di Arte della Parola, che cura l’espressione vocale, il gesto, il movimento in scena, dell’insegnante di Musica, che opera la scelta delle musiche e cura la loro esecuzione, dell’insegnante di Arte ed Immagine, che aiuta i ragazzi a progettare e realizzare le scenografie e le locandine, dell’insegnante di Tecnologia, il quale costruisce insieme ai ragazzi la struttura delle scene e che cura con loro l’illuminazione del palco, dell’insegnante di Lavoro manuale, che aiuta i ragazzi nella ricerca storica dei costumi e nella loro eventuale relativa realizzazione.
Il progetto viene alla luce circa un anno prima, quando il maestro di classe inizia ad immaginare quale potrebbe essere la recita adatta per le ragazze ed i ragazzi che sta accompagnando. L’estate passa nella lettura di vari testi e nel confronto con i colleghi, anche di altre scuole, che possono offrirgli consigli preziosi in questa fase di ricerca. La scelta tiene conto del momento evolutivo e della maturità raggiunta dalla classe, lo scopo è quello di far sperimentare alle ragazzi ed ai ragazzi aspetti della vita dell’anima che loro, in quel momento, stanno attraversando, o di cogliere nei vari personaggi immagini archetipiche dell’essere umano.
La proposta, nel nostro caso “il mercante di Venezia” di William Shakespeare, è stata condivisa a settembre con gli altri insegnanti coinvolti. È iniziata allora una ricerca individuale in ciascun ambito, che è andata dalla scelta della versione/traduzione migliore del testo originale, alla visione delle scenografie realizzate recentemente, all’ascolto dei musicisti del primo ‘600, Dowland e Purcell, alla conoscenza dei costumi tipici dell’epoca.
A dicembre è stato consegnato ai ragazzi il testo completo della commedia, così che potessero prenderne visione durante il periodo natalizio.
A gennaio tutti hanno ricevuto il copione nel quale erano stati rivisti alcuni passi, ed è iniziato un lavoro quotidiano sul movimento, il gesto e l’espressività corporea. A partire dagli ultimi giorni di gennaio, con l’aiuto degli insegnanti di riferimento, sono iniziate la progettazione e la realizzazione delle scenografie, delle musiche, dei momenti di Euritmia, dei costumi, degli oggetti e di tutto ciò che avrebbe concorso alla messa in scena. Negli ultimi giorni sono stati messi a punto le acconciature ed il trucco.
Il mese di febbraio ha visto aumentare progressivamente il tempo e la dedizione rivolti alla realizzazione della tragicommedia, tanto che gli ultimi otto giorni sono stati interamente dedicati alla stessa.
Per le ragazze ed i ragazzi è stata l’occasione per sperimentare un’immersione completa nella realizzazione di un’opera nella quale confluivano tutte le arti, un momento al di fuori del tempo quotidiano, in cui i vari aspetti della vita dell’anima sorgono e si confrontano in modo esemplare ed unico. Come viaggiatori hanno esplorato i sentimenti, gli aneliti, gli ideali, gli impulsi che vivono in ogni essere umano, protetti nella loro vita interiore dalle “maschere” dei vari personaggi. 
Hanno potuto mettersi alla prova sia sotto l’aspetto individuale che di comunità dei pari. In particolare quest’ultimo ambito li ha visti impegnati a valorizzare tra loro la tolleranza, la collaborazione, il sostegno reciproco per la buona riuscita di un obiettivo comune.
Questa esperienza recitativa ha promosso quindi la consapevolezza dell’importanza del lavoro comunitario, del rispetto e della fiducia nei propri e negli altrui talenti e competenze.
La recita proponeva alcuni temi importanti, tra essi quello dell’antisemitismo, attuale in un momento storico in cui riemergono aspetti di intolleranza religiosa e di odio/paura per ciò che è diverso ed apparentemente estraneo a noi.
A fine Cinquecento in Inghilterra si era instaurato un clima di forte antisemitismo, di cui la figura di Shylock è espressione apparentemente chiara, in realtà ricca di sfaccettature. Shylock mette in evidenza le ambiguità e le incongruenze della morale e delle abitudini di pensiero del tempo; perseguitato e negletto, usa le armi di coloro che lo hanno emarginato, per portarli davanti all’abisso delle convenzioni. Emerge il tema della funzione del male, come aspetto e origine di un bene più alto. 
In questa “tragicommedia” Shakespeare supera anche la struttura caratteristica del teatro inglese di allora, che si basava sull’alternanza tra una trama principale ed una secondaria. I due mondi, quello di Venezia, mercantile e molto immerso nella materia, e quello di Belmonte, fiabesco e celeste, vivono una sorta di equilibrio dinamico, in  cui ciascuno porta il suo contributo alle vicende dell’altro. Senza l’oro di Shylock Bassanio non potrebbe andare a Belmonte e conquistare la bella Porzia. Solo allora Porzia può lasciare Belmonte e recarsi a Venezia, per sciogliere il nodo di destino che stringe Antonio e Shylock. 
Ancor più recondito emerge un motivo caro agli alchimisti, quello della “pietra filosofale”, della trasformazione del piombo in oro. Bassanio conosce tale segreto, e sa che per celebrare le nozze alchemiche deve partire dal piombo, dalla fase della “nigredo”, per passare all’argento con la fase della “albedo” e finire con l’oro, fase della “rubedo”. Il principe del Marocco, troppo pieno di sé, non vuole attendere i tempi del processo, brucia le tappe e nell’oro trova l’immagine della morte. Il principe di Aragona, con le sue riflessioni piene di falsa saggezza, trova nell’argento la caricatura di se stesso. Bassanio sceglie la via più lunga ed umile, e trova l’immagine dell’eterno femminino, l’amore che tutto trasforma. 

Tutte queste vicende sono irrorate dall’umorismo di Lancillotto, il clown/zanni che porta una ventata di sana pazzia perché “ciò che è folle agli occhi degli uomini è saggio agli occhi degli dei”.   
“Il mercante di Venezia”, di William Shakespeare, è stato rappresentato da Francesca Bilotta, Elena Andreetta, Sofia La Mela, Carolina Tomasi, Keflom Mattiello, Jacopo Rizzello Paladino, Pietro Carrara, Ilaria Moro, Elena Silvestrin, Sara Pellone, Sofia Moschetta, Angelo Cinganotto, Edoardo Dal Vecchio, Giada Zetti, Anita Querenghi, Andrea Riccardo Pol, Filippo Dalla Nora, Arianna Cester, Marta Saporiti, Anna Varese , Beatrice De Vido, Azzurra Canalini, Sofia Coan, Gianna Biasi, Francesca Casonato, Francesca Nardi, Cristian Turchetti, Sofia  Notturno, Eleonora Saccon, sabato 25 febbraio, alle ore 19.00, al teatro Dina Orsi di Conegliano.
Con loro erano Cristina Rizzello (regia e recitazione), Stefania Sala (scenografia), Fabio Campeol (scenotecnica), Juri Lanzini (musica), Tina Iacobaccio (euritmia), Luigia Santin, Michela Bellotto, Sandra e Paolo Zardetto, Katia Benedet, Nicoletta Cortina (costumi), Lucia Zamuner, Laura Valente (acconciature e trucco), Michela Bellotto (luci), I “Geppetto” (scene e arredo), Armando Comoretto (coordinamento)



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