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Un viaggio all´Inferno

Quella notte il signor Lira, un uomo di mezza età, stava steso sul suo letto con le mani dalle dita ossute intrecciate sul ventre rotondo. In quel punto il pigiama si tendeva tanto che i bottoni d’oro sembrava volessero saltar via; sulle altre parti del corpo però risultava quasi vuoto. Nella testa calva e adagiata sul cuscino scorrevano in quel momento una serie di numeri e calcoli che dovevano soddisfarlo sui guadagni del giorno precedente e rassicurarlo riguardo all’entità ridotta delle le spese effettuate. Su questo secondo punto non era troppo soddisfatto, anzi, lo irritava il fatto che avesse dovuto pagare il servo nonostante costui avesse fatto un cattivo servizio. I numeri li conosceva ormai a memoria, tante volte li aveva ripetuti, ma continuava a farlo con il solo scopo di combattere l’insonnia che in quel momento non lo abbandonava.

Se ne stava ancora nel buio con gli occhi sbarrati, quando i rintocchi della mezzanotte si erano spenti da un pezzo.

Finalmente si sentì scivolare nell’incoscienza del sonno. Non era un sonno tranquillo, stranamente si sentiva pesante, tanto che aveva la sensazione di precipitare… precipitava sempre più, sempre più in basso.

La velocità sembrava aumentare, voleva fermarsi, sentire nuovamente il letto sotto di sé ma la caduta continuava. Si dimenava e cercava di aprire gli occhi. Tutto attorno a lui era denso e freddo, rabbrividì.

Quando pensava di non poter più sopportare quell’agonia riuscì ad aprire di colpo gli occhi: era seduto a terra avvolto dall’oscurità.

Impiegò alcuni attimi a scorgere il punto luminoso sospeso in aria poco distante da dove si trovava. Si alzò e tentò di raggiungerlo barcollando; quando fu vicino, la sua mano scattò avida verso l’oggetto luminoso per afferrarlo, ma senza riuscirci.

Si trattava di una scintillante moneta d’oro che l’uomo aveva subito riconosciuta suscitando in lui il forte desiderio di impadronirsene. Inspiegabilmente però la moneta era guizzata via ed ora si trovava poco distante, sempre all’altezza del suo naso.

Il signore Lira non voleva lasciarsi sfuggire quella sola moneta nonostante fosse molto ricco, sicché iniziò ad inseguirla. Riusciva ad avvicinarsi, ma appena la sua mano ossuta si allungava di scatto per afferrarla, ecco che la moneta non era più dove stava un attimo prima. Si spostava, non troppo, ma sufficientemente per non essere raggiungibile e allo stesso tempo invogliare il nostro signore a tentare di farlo.

Andò avanti in questo modo per un tempo che il signor Lira non sapeva definire, finché riuscì a sfiorarla: scottava. Non poté far altro che ritirare d’istino la mano. In quello stesso momento venne abbagliato da una forte luce.

Mentre i suoi occhi si riabituavano alla luce, sentì un suono metallico; voltandosi di scatto vide un immenso cancello in oro che si richiudeva alle sue spalle e ai lati si perdeva in lontananza un massiccio muro in pietra nera.

Tornò a girarsi e vide estendersi di fronte a sé un paesaggio brullo e spoglio da cui emergevano rupi rocciose. Sulla terra bruna e arida crescevano spinosi arbusti.

Il cielo era coperto da cupe nuvole che si diradavano un poco in prossimità dell’orizzonte lasciando intravvedere un cielo blu scuro.

Il signor Lira, avvolto da una atmosfera piuttosto calda, immobile e pesante, se ne stava fermo di fronte a una così austera manifestazione della natura, sempre se quella si potesse definire natura. Si chiedeva come fosse arrivato in quel posto, era stupefatto. Era reale o era in un sogno? Si guardò: indossava il suo pigiama blu.

Non fece in tempo a fare altre constatazioni che una voce stridente gli diede il benvenuto facendolo sussultare: “Finalmente sei arrivato, avaro poveraccio!”

L’essere che aveva parlato era saltato fuori da dietro delle rocce. Aveva due paia di arti, quelli superiori erano muniti di artigli, una testa da cui spuntavano due corna e un tronco malforme terminante in una coda. Era peloso e completamente nero, fatta eccezione per gli occhi e la bocca di colore rossastro che insieme al naso aquilino componevano una faccia grinzosa che si piegava in una smorfia.

Lira, che di fronte a quella creatura terrificante, era indietreggiato per lo spavento, si sentì dire: “Sembra che sia la prima volta che ti trovi davanti un diavolo”. La frase fu seguita da una risata ghignate, che terrorizzò ulteriormente il povero signore.

Il diavoletto gli stava ora saltellando attorno dicendo: “Avanti! Cosa fai ancora di fronte all’ingresso? Muoviti!”. Gli diede una rude spinta e disse ancora: “Segui il sentiero”.

Non se lo fece ripetere due volte, se non altro per sfuggire a quell’essere e imboccò inciampando il sentiero di terra che serpeggiava fra le rocce.

Mentre si allontanava sentì nuovamente la voce del diavolo: “La moneta… la moneta! Segui la moneta.”

Fu così che il signor Lira rivide il cerchietto d’oro che lo precedeva lungo il sentiero. Quando lo raggiunse provò ad afferrarlo come aveva fatto precedentemente avvolto nell’oscurità. Inizialmente lo fece con poco interesse, poi, non riuscendo a prenderlo, si accanì sempre più. L’oggetto non si faceva afferrare, gli sfuggiva sempre. Questo lo indispettiva tanto da portarlo alla rabbia.

Non si era reso conto della strada percorsa né che ora si trovava su uno sperone di roccia, fintanto che, nell’ennesimo tentativo di afferrare la moneta, rischiò di precipitare in basso.

Fermo immobile sul ciglio del dirupo guardava ora lo scenario che si presentava sotto di lui: una moltitudine di persone che si muovevano singolarmente, arrancando a causa del peso di grandi sacchi. Alcuni di loro li trascinavano, altri li portavano in spalla. Continuando a guardare, vide che raccoglievano continuamente pietre e le mettevano all’interno del proprio sacco.

Quando si riscosse la moneta non c’era più.

Non sapendo che fare il signor Lira si mosse per avvicinarsi a quelle persone.

Non era ancora arrivato quando apparve un secondo diavoletto, simile al precedente, che esclamò: “Eccone un altro!” e trascinandolo in malo modo: “Vieni, vedrai che sarai in buona compagnia”.

Si ritrovò nel mezzo della massa di persone, anch’egli con un sacco tra le mani che cominciò a riempire di pietre. Ogni volta che ne aggiungeva il peso da trascinarsi dietro aumentava fino ad essere insopportabile. Nonostante ciò egli continuava a raccoglierne altre come tutti coloro che lo circondavano. Alla fatica si aggiungeva il dolore delle ferite procurate a causa delle rocce e dei cespugli spinosi. Ad aumentare il supplizio, venivano di tanto in tanto dei diavoleti che protendevano le braccia come a supplicare che venisse donato loro qualcosa. Quando questo veniva negato, i diavoletti si mettevano a saltare sghignazzando. Se infatti avessero dato loro parte del contenuto dei sacchi, avrebbero alleviato le loro fatiche, ma nessuno lo faceva, neanche il signor Lira.

Il tempo passava indefinito e tutto procedeva invariato.

Inizialmente il signor Lira non pensava e aveva continuato per un certo tempo a non farlo, diventando così parte della gente che lo circondava. Allo stesso tempo però continuava a guardarsi attorno, ad osservare. Quella gente continuava a fare fatica, non avevano la voglia né tanto meno la possibilità di opporsi: agivano e soffrivano.

Era l’inferno.

Quelle anime in pena non parlavano quasi mai, la maggior parte dei suoni che uscivano dalla loro bocca erano gemiti. Lira aveva tentato ogni tanto di fare delle domande: non era riuscito ad apprendere molto. Alcuni non si rendevano neanche conto della sua esistenza, altri chiaramente non volevano parlare, altri ancora dicevano di essere lì da una eternità, altri avevano raccontato la loro avara vita prima della morte, vite che avevano fin troppi tratti in comune con la sua.

Si rese conto che la sua situazione era diversa, lui non era morto, di questo era abbastanza certo. Si accorse anche che, con molta forza di volontà, poteva sottrarsi a quella pena.

Se lui era vivo, doveva assolutamente tornare indietro.

A fatica si allontanò dagli altri peccatori e trascinandosi il suo sacco, tornò alla rupe da dove gli era apparso per la prima volta lo scenario delle anime in pena. Si domandava, senza potersi dare una risposta, quanto tempo fosse passato da quel momento: poteva solo constatare che ora il suo pigiama blu era tutto stracciato e braccia e gambe sanguinavano per le ferite.

Se ne stava seduto senza sapere dove andare né cosa fare, quando notò un luccichio: era la moneta d’oro.

Si alzò e si avvicinò, ma senza tentare di afferrarla. L’oggetto si muoveva e l’uomo lo seguiva.

Inizialmente procedettero lungamente tra le rupi, poi presero un sentiero che si infilava in una stretta gola per fermarsi infine di fronte ad una apertura che dava l’impressione di essere una galleria nella roccia.

Si fermò per prendere fiato; aveva portato con sé il sacco di pietre fino quel momento. Lo posò ed entrò nella cavità seguendo lo scintillio della moneta. Procedeva barcollando, l’aria era densa e fredda, l’atmosfera si faceva sempre più pesate e ovattata.

Improvvisamente la sua guida si fermò, sospesa. La raggiunse.

Scintillava davanti a lui, ferma. Allungò la mano come per prenderla… si trattenne e la ritrasse. A quel punto la moneta cadde ai suoi piedi con un sordo suono metallico e non si mosse più.

Nei pochi istanti che seguirono il signor Lira rimase sorpreso e incerto con una sensazione di sollievo nell’anima.

Percepiva vorticare tutto attorno a sé, mentre il suo corpo gli dava una sensazione di leggerezza, che lo trascinava verso l’alto, sempre più su, sempre più veloce.

Aveva l’impressione di vedere un immenso cratere attorno a sé, che si stringeva sotto di lui in cerchi sempre più stretti. Nella sua risalita ne contò tre, al quarto perse i sensi.

Quando riaprì gli occhi era steso sul suo letto con il pigiama lacero e tra le mani dolenti teneva una monetina d’oro.

Sofia C. XII cl.


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