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La settimana intensiva AGRI in XIII classe

Strano scherzo del destino quello di cominciare un´esperienza in un posto e concluderla nello stesso luogo sei anni dopo.
È questo il caso del mio percorso di studi superiori, inaugurato nel lontano 2016 con la settimana di forestazione presso Villa Emma, immersa nel verde del bosco del Prescudin, in provincia di Pordenone, Friuli. Ero un ragazzo timido, appena uscito dal “guscio” della vecchia scuola, luogo in cui mi ero sentito al sicuro e protetto per dieci anni… forse troppo.
Dopo sei anni sono tornato nello stesso posto, rimasto invariato in tutti i suoi aspetti per così tanto tempo. Ci sono andato con una nuova classe, con nuovi compagni, nuovi amici, pronti per affrontare la nostra ultima settimana intensiva ed ultimo momento di aggregazione.
In questi cinque giorni siamo stati ospiti di una struttura in concessione dalla forestale, accompagnati dal prof. Zanini, responsabile della parte didattica e pratica, e dalla signora Carla, sempre presente per supportarci nell’aspetto organizzativo e culinario. 
Il torrente Prescudin è un piccolo affluente del Cellina: il suo bacino è di proprietà dell´Azienda Regionale dei Parchi e delle Foreste. Dal 1969 questo territorio è una riserva naturale orientata a scopi prevalentemente scientifici con finalità di "bacino idrografico rappresentativo sperimentale". I 1650 ettari di boschi, ghiaie e rocce vengono costantemente monitorati al fine di studiare i rapporti tra clima, suolo e vegetazione. Insomma, un territorio perfetto per svolgere i nostri studi sul suolo, il bosco ed il rapporto con l’acqua, tema della settimana.


Particolarmente adatta ad uno scopo didattico è la sala grande di Villa Emma, un luogo di aggregazione e di convivialità dove abbiamo svolto le nostre lezioni mattutine e i pasti della giornata. 
Come già detto, il tema della settimana è stato l’acqua ed il dissesto idrogeologico, collegato al ruolo del bosco nella regimazione idrica e nel controllo dell’erosione, al compito dell’uomo nel regolarne il flusso ed ai vari Piani di Tutela. 
Aspetto molto interessante trattato nel corso della settimana è stato l’ingegneria naturalistica, una tecnica di costruzione per la protezione dell’ambiente da smottamenti e inondazioni che utilizza principalmente materiali reperiti in loco come legna, sassi e talee. Ciò si rivela di fondamentale importanza per la protezione e tutela del territorio. 
Negli ultimi giorni ci siamo soffermati sull’instabilità del suolo, analizzato i vari tipi di frana ed i loro gradi di pericolosità: tutti aspetti fondamentali per comprendere al meglio ciò che ha portato al disastro del Vajont del 1963, diga che abbiamo potuto vedere con i nostri occhi durante la visita effettuata. Le lezioni sono sempre risultate piacevoli ed utili per comprendere le attività pratiche e l’importanza dell’uomo nella gestione del territorio.



Proprio sul miglioramento del territorio e dell’impatto dell’Uomo sull’ambiente, si è concentrata la nostra attività pratica, la quale ci ha visti protagonisti in due differenti cantieri. 

Il primo, situato lungo una carrareccia a dieci minuti di cammino dalla villa, ci ha impegnati sino all´ultimo giorno per la costruzione di un muretto a secco che favorisse il deflusso dell’acqua a lato della strada e che la lasciasse il più possibile asciutta. 
Nel secondo cantiere, lungo il corso del torrente Prescudin, abbiamo operato alla messa in sicurezza di una parte di ponte sprovvista di parapetti e uniti a quelli della restante parte, realizzati in precedenza. 
Il primo giorno, dopo aver definito i due differenti cantieri, ci siamo divisi in due gruppi di lavoro e diretti presso i luoghi interessati. 
Io, con il mio gruppo del muretto a secco, ci siamo subito messi al lavoro per definire un´adeguata altezza per la struttura e la giusta larghezza. Ciò che ci era stato chiesto dal Corpo Forestale, era quello di realizzare questo muretto lungo il lato destro della carrareccia per una lunghezza di massimo cento metri, in concomitanza con un altro muretto. 
Per la sua realizzazione ci siamo serviti di tre picconi per andare a rimuovere eventuali massi presenti lungo la sponda o per rimuoverne di altri nelle vicinanze e di due pale per aiutarci nel posizionare i massi più grandi e ricoprire il tutto con la terra e rifinire con la ghiaia.

Per prima cosa andava creato un alloggiamento con il piccone per i massi più grandi, facendo attenzione al dislivello con la strada (-40/-50 cm) e la posizione all’interno della canaletta. Una volta estratto il masso dall’area circostante (solitamente compito di Daniel e Giacomo) andava trasportato sino al punto di interesse e collocato nella sua nuova sede. Poi si procedeva a posizionare massi più piccoli attorno a quello appena piazzato per coprire eventuali buchi e per dare un’idea di uniformità al nostro muretto. La difficoltà stava proprio in questo: cercare i giusti sassi per una determinata posizione. Un lavoro che ha impegnato non poco la nostra schiena e le nostre braccia. Per garantire la stabilità alla struttura abbiamo ricoperto i bordi di terra e ghiaia che andranno poi a compattarsi con la prossima pioggia. Il venerdì, andando a misurare la lunghezza del muretto da monte a valle, abbiamo constatato essere di 70-75 metri!

Nel secondo cantiere l’altro gruppo si è concentrato sulla messa in sicurezza di un ponte andando a posizionare dei parapetti in legno lungo i due lati. Per fare ciò è stato impiegato un trapano, delle raspe, una sega, carta vetrata, chiodi, bulloni ed un martello.

Per prima cosa sono stati piazzati sotto il ponte quattro pali posti trasversalmente rispetto alla struttura di camminamento per sostenere i paletti verticali per poi fissarli tra due dei quattro legni sottostanti (vedi immagine sotto). Fatto ciò, è stato ricavato un incavo dalla sommità dei paletti per appoggiarci sopra i corrimano di legno. Una volta fissati saldamente con bulloni e chiodi, sono stati creati due corrimano ulteriori per collegare le due parti del ponte ed evitare, quindi, cadute.


Un evento esemplificativo per raccontare cosa non fare in determinati luoghi è il disastro della valle del Vajont del 1963, dramma che ha segnato indelebilmente la storia del nostro Paese e del nostro rapporto con l’acqua.

Ciò che è avvenuto la sera del 9 ottobre ‘63 è una concatenazione di errori che risalgono sino agli anni ‘30 con le prime ispezioni presso la stretta vallata del fiume Vajont, in ladino “va giù”.

Prima ancora di studiare sui libri il fenomeno, ci siamo recati proprio sul luogo del disastro per osservare con i nostri occhi la frana e la precaria stabilità geologica di quella zona.

Un pezzo di montagna dentro il bacino della diga: sembrava impossibile. Invece è quello che ci siamo trovati di fronte ai nostri occhi mercoledì scorso. Un paesaggio surreale, da film. Più avanti, verso Longarone, c’era la diga, ancora intatta nonostante la pressione dei 150 milioni di metri cubi presenti in quel momento nell’invaso.

Certo, dire che dopo circa sessant’anni che il disastro del Vajont si poteva prevedere, forse è un po’ troppo facile. Forse il paesaggio prima era visto più come un qualcosa di statico nei tempi umani, oggi invece cominciamo a capire che tutto è in evoluzione e molte cose variano e mutano più velocemente di quanto si immagini.


“Durante la quarta ed ultima settimana intensiva, che per molti è stata  simbolo della chiusura di un percorso iniziato cinque anni fa con la prima uscita di forestazione, siamo stati appunto  nella riserva del Prescudin, a pochi passi dal lago di Barcis in provincia di Pordenone. Arrivati alla deliziosa Villa Emma, siamo stati accolti dalla pace: alte montagne ad osservarci e boschi di faggi e tassi che ci proteggevano ora dal caldo, ora dalla pioggia scrosciante. Non c’era mattina in cui, al risveglio, mancasse il canto degli uccellini ed il pungente aroma di timo che correva nei prati intorno alla casa. Non poteva però neppure mancare quel leggero sentore di malinconia che vela tutti quei momenti in cui sai che sta per finire qualcosa, si è felici di arrivare al termine, ma è proprio in questi casi che si cerca di vivere a pieno ogni istante, perchè lo senti nell’aria che sta per concludersi. Ed è proprio adesso che qualcuno, alle volte con un occhietto lucido e la bocca lievemente incrinata, oppure con una forse  sarcastica esclamazione, comincia ad elencare in maniera sporadica tutti gli ‘’ultimo’’: l’ultima colazione insieme, l’ultima lezione di Zanini, l’ultima notte passata insieme, l’ultima sigaretta fumata sui gradini d’ingresso, che altro non voleva fare se non aiutare a far scendere quel groppo che si era annodato in gola. Ma in fin dei conti, di malinconia non si deve abusare, perchè non è poi così evolutiva, ma alle volte è proprio lei che ci ricorda quanto sia stato bello e quanto sia bello quello che si ha, perché quando sai che irrimediabilmente dovrai perdere qualcosa, vuoi fare di tutto per ricordartelo nel migliore dei modi, e farai di tutto per costruirci gli ultimi ricordi, i più belli. Il clima tra di noi era sereno, forse tra i più belli avuti in una settimana intensiva, perchè oramai ci conosciamo: sappiamo riconoscere i ‘’momenti no’’ degli altri e abbiamo imparato col tempo a rispettarci e ad aiutarci. Momenti di tensione e nervosismo non sono mancati, ma nonostante tutto abbiamo avuto la possibilità di stare in un’atmosfera pacifica e tranquilla..  lasciando pensieri, internet e preoccupazioni a casa. “

Clelia

 

“Siamo andati a visitare la famosa diga del Vajont, per vedere con i nostri occhi un esempio reale di dissesto idrogeologico. Innanzitutto è stato davvero impressionante stare in un luogo dove è avvenuto un fenomeno così tragico, ed inoltre incontrollabile dal punto di vista umano. Vedere la diga ancora in piedi, perfetta nonostante tutto, mi ha stupita molto”

Alice

 

“Questa settimana intensiva è stata per me forse la più bella. Il lavoro, il tema e soprattutto la compagnia erano tutti ottime. La grigliata il penultimo giorno è stata una grande idea e un momento speciale per tutti; chiudeva in qualche modo l´esperienza del indirizzo agri per la mia classe. Il luogo era favoloso, con le cime delle montagne che ci circondavano e l´atmosfera era tranquilla e rilassata ma non sfaticata. Tutto sommato mi sono divertito, ho imparato e ho lavorato con uno spirito molto positivo e allegro, grazie non solo agli amici ma anche per via del prof e la signora Carla che ci hanno aiutato in tutto. Un´esperienza indimenticabile.”

Daniel


“Un esempio è proprio il lavoro che abbiamo realizzato lungo la strada. Là vicino inoltre troviamo una serie di briglie che sono un’altra opera di ingegneria naturalistica, finalizzate a rallentare il flusso d’acqua così che in caso di alluvione non possa erodere facilmente il terreno. A metà della settimana siamo stati in visita alla diga del Vajont che si trova a 30 minuti di macchina dal nostro soggiorno. Quello fu un esempio di scarsa valutazione del rischio e soprattutto di quanta forza distruttiva può avere la natura. “

Angelo

 

 “Il risultato è stato un lavoro curato e ben eseguito, nonostante le difficoltà affrontate durante i giorni: per esempio l’aver tentato di affrontare il legno di tasso è stato causa di imprecazioni a non finire, oppure la mancanza di materia prima o il semplice fatto che l’acqua facesse ‘’troppo rumore’’ poteva dare fastidio; ma diciamocelo… è bello dover affrontare queste inconvenienze, perché ti fanno crescere insieme.  Infatti quello che mi porterò nel cuore da questa esperienza sarà proprio il fatto di trovare soluzioni ai problemi insieme. Mai potrò dimenticare la rara esperienza dello stare insieme nel modo il più sottile: riconoscendo l’altro. Perché ho ricevuto in dono il fatto di sentirmi riconosciuta per le mie qualità, ho avvertito che quello che facevo, nonostante non fosse paragonabile a livello quantitativo alla mole di lavoro fatta da altri, andava bene. Ma andava bene per davvero!”

Clelia


Il lavoro è stato molto impegnativo, perché richiedeva sia una grande presenza e forza fisica, ma anche una grande abilità e precisione per riuscire ad incastrare le pietre in modo che il muretto fosse abbastanza solido, infatti i massi andavano sovrapposti seguendo una logica ben precisa che consisteva nel non impilare uno sopra all’altro i massi, ma posizionarli in modo alternato, così che un sasso scaricasse il suo peso sui due sottostanti.” 

Azzurra

 

“La mia esperienza fatta in Prescudin a Villa Emma, è stata molto intensiva ma d’altra parte bella nel vivere per una settimana per 24 ore su 24, con tutti i compagni di classe del mio indirizzo. Abbiamo fatto tante altre belle esperienze ma questa in particolare me la ricorderò in maniera più approfondita. Perché è stata l’ultima esperienza che ho vissuto tutto all’ultimo fiato, perché va a concludere tutto il percorso che abbiamo vissuto in questi 5 anni di scuola! Mi mancheranno tutte queste esperienze ma soprattutto sentirò la mancanza dei miei compagni, nonostante ci siano state litigate o cose simili ecc… Ma questo è normale, si era creato un bel legame con tutti noi peccato che ora tutto finisce. I lavori che abbiamo svolto sono stati belli sia nell’imparare qualcosa di nuovo ma anche che è stato di grande aiuto per la natura e per i forestali del Prescudin.” 

Sofia



“Siccome non voglio terminare con una nota triste come quella della storia del Vajont, ci tengo a dire che ho passato una settimana favolosa, e ho trovato poetico il fatto aver iniziato e chiuso il percorso delle superiori nello stesso luogo. La prima gita che abbiamo fatto è stata proprio il Prescudin, era l’inizio della prima superiore, a pensarci adesso mi sembra un’eternità fa e tornando indietro nel tempo quando pensavo alla quinta mi sembrava un futuro remoto, ma il tempo passa ed eccomi a fine Maggio 2022, nello stesso luogo”

Giacomo


“In questa settimana mi sono trovata bene con tutti e ho trovato piacevole  e rilassante svolgere il lavoro  richiesto dal prof Zanini. Ho trovato serenità in  tutta la settimana trascorsa a Villa Emma;  sono stata bene,  ho gradito il cibo (grigliata!!) Tutto sommato sono rimasta felice, ma allo stesso tempo un po’ dispiaciuta che sia  stata l’ultima settimana intensiva della mia vita!  So per certo che questi momenti me li ricorderò per sempre!!”

Irene

 

“È stata una settimana che ci ha visti partecipi sia a livello di mansioni che a livello di gestione dell’ambiente comune. I lavori li ho trovati belli ed adatti al luogo in cui eravamo: i forestali della regione Friuli avevano bisogno che venissero eseguiti quei determinati lavori e noi eravamo lì proprio per aiutarli e fare ciò di cui avevano bisogno. Imparare la gestione di un bosco, come si creano tutte quelle aree di cui molte volte usufruiamo quando percorriamo sentieri di montagna, mi hanno fatto apprezzare ancor più a fondo l’ambiente che mi circonda. La lontananza dalla città e la completa immersione in una vita nella natura, grazie anche alla completa assenza di rete per prendere con il cellulare, ci ha dato la possibilità di unirci maggiormente come gruppo, di stare insieme e di giocare assieme, di apprezzare in maniera differente ogni momento passato tra di noi. Porterò sempre con me, con un calore particolare, questa bella settimana!”

Serena

 

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