News
La nostra Odissea
Cos’è che spinge avanti le navi di Ulisse?
La ricerca. Una parola che noi giovani non conosciamo quasi più. Come dice Alessandro D’Avenia, nessuno esce da una quotidianità felice per andare incontro all’ignoto, senza sapere di avere una ricompensa.
La guerra di Troia può essere vista anche come una guerra interiore, fatta di mura da superare e battaglie da vincere; se volessimo psicanalizzare Ulisse, potremmo affermare che è partito per la guerra per cercare qualcosa, qualcosa che ad Itaca non riusciva a trovare. Come afferma D’Avenia nel suo articolo “Ulisse, cura anti apatia”, noi ragazzi di questo orrendo secolo siamo apatici. Non abbiamo più una spinta nel fare qualcosa, nell’intraprendere qualcosa di nuovo. Abbiamo tutto a portata di un clic ed è per questo che tutte le informazioni che apprendiamo le sappiamo superficialmente, ma in realtà non sappiamo granché. Non prendiamo le navi, non scappiamo da tutto, e andiamo verso l’ignoto, o almeno non più.
Perché c’è un tasso di suicidio e di apatia nei ragazzi con famiglie più ricche?
Perché hanno tutto a portata di mano, non hanno qualcosa per cui combattere, qualcosa in cui credere. Ulisse penso sia partito da Itaca per una ricerca personale per trovare e scoprire una nuova parte della sua interiorità che gli mancava, delle idee, dei pensieri e dei gesti che non immaginava di possedere.
I poemi omerici ci insegnano tanto, forse troppo, dovremmo imparare l’ira di Achille, la determinazione di Ulisse, l’amore di Ettore, l´amicizia di Patroclo. Tutte quelle piccole cose che in questi anni ci stanno sfuggendo, lasciando posto a una nebbia che invade tutto, una nebbia inutile, inerme, che chiamerei noia, perché è da questo che deriva tutto, dalla noia, da non sapere mai cosa fare, dall’essere abbandonati sui nostri letti con il cellulare in mano; non abbiamo più qualcosa in cui credere.
Uno psicologo, sopravvissuto ai campi di concentramento , affermava che senza qualcosa in cui credere morivi dopo una settimana stando in un lager; le persone senza speranza, senza qualcosa in cui credere morivano per prime. Per questo aiutava i suoi compagni nel credere in piccole cose, come nelle loro famiglie o nei libri, in qualcosa che li facesse sopravvivere.
Ulisse non sarebbe mai tornato ad Itaca se non avesse avuto qualcosa che lo spingesse verso casa, e non per forza l´amore per la propria famiglia. Probabilmente è stato l’amore per la sua patria, o il voler tornare a casa soddisfatto di avere combattuto la propria guerra. Ognuno di noi deve avere una lucina, che ci permette di andare avanti. Io personalmente lo ammiro, ammiro il fatto che sia
riuscito a uscire dalle sue mura, ammiro il fatto che abbia sorpassato le sue barriere, che sia riuscito a cercare qualcosa che ad Itaca non trovava.
Chi sono le persone a cui mi ispiro?
Dopo un’attenta osservazione ho capito che non mi ispiro ad una sola persona, infatti vorrei avere: la cura di mia mamma, la determinazione di mio fratello, l’intelligenza di mio papà, il sorriso di Camilla, la forza di Azzurra, la gentilezza di Gioia, l’allegria di Wendy, la dolcezza di Giulia, la conoscenza di Sabino, la delicatezza della maestra Federica. Ammiro ogni singola persona che conosco, e da ognuno di essi ho preso qualcosa, che mi porterò per sempre.
Anche se, non sono ancora riuscita a prendere le mie navi e navigare lontano da Itaca, ci lavorerò, perché voglio trovare qualcosa di nuovo, voglio sorpassare le acque della Grecia, uccidere Polifemo, scampare alla maga Circe, salpare da Calipso… Insomma, voglio vivere la mia Odissea.Anna C. X cl.