News

Scuola Superiore: progetto Euritmia a Wetzikon

La classe XII ha partecipato a un progetto di euritmia che si è tenuto a Wetzikon, in Svizzera, dal 9 al 16 ottobre 2016. Erano coinvolti un’ottantina di studenti ed ex-studenti di scuole Waldorf, prevalentemente svizzere, per mettere in scena con l’euritmia musicale e della parola il dramma di Ibsen: Peer Gynt. Ci sono stati 4 giorni interi di prove e tre repliche con centinaia di spettatori, accompagnati dall’orchestra della città.
Alla fine del racconto seguono alcune risposte sull’esperienza rivolte a Rachele Mascarin, alunna di XII classe.

Il viaggio.
Ieri ero in treno. Dal finestrino si vedevano le montagne svizzere, pascoli ormai sgombri ancora verdi.  Mi immaginavo il freddo che si doveva provare lassù, su quelle cime che a breve diventeranno nuovamente bianche. Stefania Visentin, la terza accompagnatrice della classe insieme alla prof.ssa Iacobaccio e a me, mi parlava, ma io avevo smesso di ascoltarla.  Mi stava raccontando delle differenze che sentiva tra questi ragazzi e i suoi ricordi di adolescente, dei suoi insegnanti pieni di tanti idealismi aleatori e di tante parole belle ma poco concrete. Ogni tanto si interrompeva per ascoltare una frase pronunciata da uno dei ragazzi, non tutte le frasi, quelle che le confermavano la sua ipotesi: sostiene che abbiano pochissime cognizioni di geografia. “Senti, senti questa” mi diceva, “Zurigo è una penisola, ma si può?!”. Poi, come niente fosse, riprendeva il discorso, non sempre dal punto in cui lo aveva lasciato, ma quasi; con l’inconveniente che anch’io un po’ mi perdevo. E in uno di questi passaggi, infatti, mi sono distratto. Mi è venuta, inaspettata e prorompente, una voglia di contare. Sono quelle pulsioni che credo vengano agli insegnanti di matematica, come me. Mi erano apparse le settimane trascorse, da gennaio ad oggi, con tutte le attività svolte dai ragazzi di dodicesima e la mia attenzione si era soffermata in particolare su due nomi: Tommaso e Gaia.

Questi due studenti hanno svolto l’Alternanza Scuola Lavoro in due aziende del centro Italia, quindi lontano da casa, per circa 6 settimane, 3 in un primo periodo e 3 in un secondo. Insieme al resto della classe, sono stati entrambi 11 giorni in Ungheria a maggio e 11 undici in Italia per uno scambio europeo. Ora sono qui a Wetzikon per preparare uno spettacolo di euritmia. 3 + 3 + 1,5 + 1,5 + 1; e il conto è fatto. Con questa settimana avranno passato circa due mesi dei dieci trascorsi nel 2016 lontano da casa, in luoghi così diversi tra loro. Dalle colline ungheresi alle montagne svizzere, dall’aria secca del Molise a quella fredda di Zurigo. Non a scuola, ma per via della scuola, lontani da scuola, facendo scuola senza scuola. Immersi nel mondo.
Forse è questo che intendeva la mia collega, che forse, grazie a queste esperienze, la loro rivoluzione sarà più concreta della sua, ed io aggiungo della nostra. Tuttavia un consiglio ci teneva a darglielo. “Che si portino una mappa geografica, però!”.

Primo giorno.
Non credo che alla maggioranza di loro piaccia l’euritmia; anzi, sono sicuro che alcuni non la digeriscano proprio, ma pure che ad altri non dispiaccia. Eppure sono tutti qui, a Wetzikon, per uno spettacolo di euritmia.

Solo oggi hanno iniziato a realizzare quanto importante sia questo evento. In treno, in prima classe, autorizzati da un controllore un po’ irrequieto, in una fermata tra Zurigo e Wetzikon, Sami si avvicina e ci indica un cartellone pubblicitario. Non capiamo. Insiste ad indicare e alla fine vedo il manifesto e leggo il titolo: Peer Gynt, il dramma di Ibsen che metteranno in scena tra qualche giorno. Indicava, indicava e ci diceva: “Prof! Guardi”, ma a me sembrava dire: “Prof! Allora è vero…”. Certo che è vero, lo spettacolo è pubblicizzato in tutta la città!
La mia collega di euritmia l’ha guardato e gli ha annuito due volte. Un sopracciglio le si è alzato vistosamente mentre le sue labbra si sono chiuse delicatamente, per un breve istante. “Non dirlo a me”, gli ha risposto “inizio davvero a realizzare solo adesso.”
Nel tardo pomeriggio i ragazzi sono entrati in teatro per la prima volta. Si sono seduti e senza tante parole hanno osservato la bellezza del posto. Gustavano l’accoglienza e il calore dell’anfiteatro, già allestito con le sedie dell’orchestra; la postazione del tecnico luci defilata a sinistra, i lampadari alquanto vistosi, ma non invadenti ed in sintonia con il resto dell’ambiente. Il palco, grande, largo, profondo, pieno di slancio, aspettava paziente qualcuno che, con coraggio, salisse e da lì donasse al pubblico un tempo e uno spazio d’arte. Non si sale soli lassù, si viene accompagnati da paure, timori, illusioni. Ci si sente improvvisamente ed inesorabilmente inalienabili. Si sta lì sopra per mostrare qualcosa e ci si sente anche responsabili per ciò che si andrà a svelare. Sul palco tutto ha il potenziale di diventare vero, più delle apparenze; convincente, più delle credenze; e bello. Attrae perché ti cambia, spaventa perché ti cambia. E’ una cruna, stretta, che, vissuta a pieno, rende possibile l’arte e necessario il dolore, quello bello, che ti forgia.

Dopo cena i ragazzi hanno provato in costume i loro due pezzi. Sono apparsi spaesati a noi del pubblico, preoccupati. Non si avvicinavano mai al centro del palco, poche punte e molti talloni, pesanti, sguardo a terra, pause lunghe e non riempite. E’ inutile! E’ necessario che da oggi ognuno di loro si afferri. E’ così in tutti i processi veri, non solo per quelli artistici, ma per quest’ultimi è ancora più intenso. Da qui nasce la bellezza di salire sul palco e da lì donarsi all’arte. 

Secondo giorno
Questa giorno inizia con un riscaldamento in palestra, non credo che tutti abbiano capito l’esercizio proposto. Spesso l’euritmista si spazientiva. Non è semplice farsi capire da 80 studenti contemporaneamente ed è un attimo perdere la calma!
Tutt’altra atmosfera si è creata in teatro. Tutti le classi in attesa, sebbene presi dalle loro interazioni. Gli artisti della parola iniziano a recitare e in pochi scambi cala il silenzio e da quel momento ha inizio lo spettacolo. Si susseguono le varie scuole lungo il filo della storia, chi con l’euritmia della parola, chi con quella musicale, altri ancora con entrambe. Classi diverse: none, decime, undicesime, dodicesime ed ex alunni, quasi tutte svizzere, tranne una: la nostra, italianissima! Tutti salgono sul palco e, accompagnati da parole o da musiche, iniziano a donare un po’ di vita al Peer Gynt con la parte che il destino a loro ha assegnato. E così l’intero spettacolo da oggi sembra a tutti più vero.

Terzo e quarto giorno
In questi giorni i ragazzi si sono calati maggiormente nelle attività. Ci sono state le prime prove generali e con esse sono emersi i gesti e la diversa presenza di spirito di ognuno. Anche l’intera opera ha iniziato a prendere forma.
Prova dopo prova ogni ragazzo ha avuto l’occasione di conoscere se stesso attraverso gli altri, perché qui a Wetzikon si possono confrontare, senza competizione o contrasti, semplicemente rispecchiarsi l’uno nell’altro. Sono emersi così dalla nebbia delle difficoltà i primi cambiamenti. Ha iniziato ad esserci maggior percezione e sostegno, gli uni con gli altri.
“Poche parole, più esercizio!” Ripeteva loro regolarmente la prof.ssa Iacobaccio. “Con le parole non risolvete, l’euritmia va fatta. Forza!”.
In una di queste occasioni, dopo una breve pausa, ha aggiunto con voce calda e calma: “Ragazzi, gioite dell’opportunità di fare qualcosa assieme, soprattutto oggi! In questo mondo in cui ognuno è sempre più isolato!”.

Mentre li guardavo esercitare la Danza di Anítra e ripensavo alla parole della mia collega, mi sono convinto definitivamente che l’ingrediente mancante sia proprio quello: la gioia, la gioia di creare assieme qualcosa di bello!
Si sono susseguite così le prove intramezzate da complimenti, suggerimenti e richiami: “Niente gomma da masticare sul palco!”, “Togliersi gli orecchini!”, “Puntualità!”, “I Veli! Attenti ai veli!”.
Diversi euritmisti si sono avvicinati ai ragazzi italiani con indicazioni tecniche, dimostrando grande cura e tatto nei loro confronti. Si sono sforzati persino di parlare Italiano pur di interagire con noi! Mi hanno sinceramente colpito e commosso. In qualche modo percepivano che, anche se i gesti non erano così precisi, dietro ai loro movimenti c’era comunque tanto sentimento, tanta vita; ingredienti di cui forse, a volte, loro si sentono carenti. Che bella fusione di popoli!

Sesto giorno
Siamo alla fine. La terza replica è ormai alle porte, ci sono anche molti loro genitori in sala. Circa 400 persone in tutto. I ragazzi si dichiarano calmi, ma non riescono neppure a stare fermi. Si stirano le tuniche, si puntano i veli, ripetono gli ultimi gesti, mentre altri giocano a carte in attesa dell’inizio.
E’ il loro turno. Sono dietro le quinte in attesa che il pubblico rientri dopo la pausa. L’orchestra si intona, le luci si spengono, il sipario si apre.

E’ ora.

In bocca al lupo ragazzi! E divertitevi!”

Nessun intoppo, molta energia, piedi leggeri. Belli. E sorridenti!

Non credo che alla maggioranza di loro piaccia l’euritmia; anzi, sono sicuro che alcuni non la digeriscano proprio, ma pure che ad altri non dispiaccia. Eppure sono stati tutti qui, a Wetzikon, per mettere in scena il Peer Gynt in euritmia. E io son certo che nessuno di loro avrebbe mai detto che sarebbe stato così bello! 

Prof. Andrea Simon



Seguono alcune domande rivolte a Rachele, alunna di XII:

Perché sei qui?

Non penso di aver ancora realizzato pienamente il fatto di essere qui, non saprei quindi cosa rispondere, le motivazioni potrebbero essere così tante che, raccolte assieme, finirebbero sicuramente per aprire tante nuove domande. Ma ci provo lo stesso.
Sono qui soprattutto perché trovo intrigante e stimolante raccogliere le sfide, per dimostrare agli altri e soprattutto a me stessa che volendo, anche andando contro i propri pregiudizi, tutto è realizzabile, che è possibile sorprendere e far ricredere la vita stessa, senza lasciare che sia sempre essa a stravolgerci e a limitarci.
Sono qui perché so che, in un certo modo, è un mio dovere “tornare” alle persone che hanno investito tempo e passione in me un po’ di quel dono, ricambiando l’impegno profuso con la soddisfazione di vedere che hanno creato un qualcosa di socialmente bello.
Sono qui perché riesco a vedere l’unicità di questa occasione e che, per quanto mi ostini a ripetere a me stessa di non avere piacere a viverla, so che nel profondo che non è così.
So che sotto sotto in me c’è il desiderio di viverla, perché mi renderà fiera di me stessa, della mia classe e di chi ha reso tutto ciò possibile, facendomi sentire bene e parte di qualcosa di vivo.

Com’è stato provare in questo teatro?

Esibirsi su un palcoscenico come questo o nell’intimità di un’aula di euritmia sono due cose completamente diverse. Entrambi questi luoghi permettono di tirare fuori da ciò che stai facendo aspetti diversi: nell’aula tutto è più familiare, più ristretto, sei solamente tu a muoverti con il gruppo, ti ritrovi negli spazi e hai costantemente la coscienza di dove sei. Viene tutto più naturale.
Su un palcoscenico, anche se accogliente come quello dove ci esibiremo, entra in gioco un fattore che spesso spaventa: il pubblico.
Anche se al momento non c’è, lo si percepisce comunque: sai che è uno spazio che presto verrà riempito, occhi pronti ad apprezzarti o a giudicarti. Questa sensazione, però, ti dà anche la possibilità. Anzi, ti spinge a dare del tuo meglio, quel meglio che forse nella familiarità della propria aula di euritmia non andresti a cercare. Finché non provi sul palcoscenico è difficile rendersi conto della portata di ciò che hai preparato, è difficile giudicare se il tuo lavoro è all’altezza o meno. E’ come mettersi allo specchio: puoi aspettarti di trovare alcune cose, ma non potrai mai essere completamente certo di quello che vedrai.

Cos´è cambiato durante Wetzikon?

E´ stata la nostra percezione dell´euritmia a mutare maggiormente durante questa settimana.
Penso che sia stata la prima volta in assoluto dove abbiamo provato a vivere quest´arte nel modo giusto, come dovrebbe essere, ovvero percependone la bellezza. Rispetto alla relazione che ho avuto con gli altri gruppi durante prove e spettacoli, il legame con i miei compagni era fortissimo: sentivo che per riuscire bene in ciò che stavamo facendo era necessaria una sorta di tacita collaborazione, tanto che all´interno della classe si è andata come creando una situazione a dir poco speciale.
In quei momenti eravamo tutti indiscutibilmente fondamentali, anche se uno solo avesse ceduto, agli altri sarebbe mancato quell´appoggio, quel tassello elementare, fondamentale al tutto.
Non erano più solamente i “bravi” e i “dotati” a portare avanti il gruppo, ma eravamo tali, proprio perché stavamo lavorando assieme per uno scopo comune.

Com´è stato essere sul palco e mettere in scena il Peer Gynt?

L´esperienza di vivere il palco non l´ho sentita molto come mettere in scena l´opera del Peer Gynt in sé, quanto più come mettere in scena l´euritmia. Forse per il fatto che non siamo stati noi a rappresentare l´intera storia, (anzi, credo che a molti non sia ancora chiara), era più l´arte con la quale la stavamo rappresentando ad essere esposta, non la trama.
Durante gli spettacoli mi è successa una cosa che non mi sarei mai aspettata: ero priva di ansia, paura o agitazione. Sentivo la testa sgombra da qualsiasi altro pensiero che non fosse ciò che stavo facendo in quel preciso istante, dove mi trovavo nello spazio circostante e in relazione al resto del gruppo. Non dovevo pensare al prossimo movimento da eseguire, esso veniva da sé, si trasmetteva e rimbalzava da uno all´altro, e quando questa connessione era fluida, non mi sembrava più di essere una persona sola, ma un unico organo.
Le tante prove ci avevano reso il palcoscenico familiare, l´orchestra riusciva a tirare fuori il movimento da dentro e le luci creavano con atmosfera una cortina soffusa che ci separava dagli sguardi nella sala.
Durante l´ultimo spettacolo mi veniva da sorridere, mi ricordo che guardando i miei compagni stavo pensando: “siamo proprio belli”. Avrei voluto dirglielo, ma penso che non avrebbero capito. Questa particolare esibizione mi ha lasciato addosso una scarica di emozione che al momento non sarei riuscita a descrivere, neanche ora so dire cos´è stato, so solo che era qualcosa di forte ed intenso.
Forse ora credo di aver capito perché ho visto la bellezza di quel momento: perché finalmente sembrava che, più che per il pubblico, fossimo sul palco per noi stessi.

Foto di Julian Hoffman, Thomas Hartmaier e Toni Koller


CALENDARIO


clicca l´immagine per l´area dedicata
  

clicca per il sito
hermmes.eu

Vuoi essere informato sulle attività inerenti alla nostra Associazione?
ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER

 Guarda il filmato