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Brexit Cosa ha spinto l’Inghilterra a lasciare l’Unione Europea?

Il primo ministro James Cameron, a favore del remain, di è dimesso dopo il verdetto del referendum, a causa anche delle frequenti accuse di non aver mai preso una decisione netta e definitiva durante il suo governo il che non gli ha permesso di avere molta influenza sui suggerimenti di voto.

L’Inghilterra era stata sempre più distaccata rispetto alle altre nazioni europee, non solo per il fatto di essere un’isola e quindi già predisposta per un motivo geografico ad essere divisa rispetto agli stati continentali, ma anche per ragioni socio culturali, ad esempio il fatto di aver mantenuto la propria moneta, un chiaro esempio dello scarso feeling.

Nonostante la sterlina, però, la Gran Bretagna è sempre stata importante per l’UE e farne parte le ha comunque permesso di non rimanere isolata in economia e geopolitica.

Ci sono state conseguenze immediate dopo l’esito del leave: in Italia vi è stato un calo dell’export, a Londra un calo del mercato immobiliare con un crollo del numero di proprietà vendute pari al 43% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Importanti sono stati anche i riscontri delle banche e del settore commerciale e le conseguenze amministrative per le innumerevoli pratiche che l’Inghilterra dovrà affrontare. Il primo ministro Cameron è stato sostituito da Theresa May, membro del partito dei conservatori (la maggioranza del parlamento britannico), la quale nonostante fosse a favore del remain, ha promesso di rispettare il volere dei cittadini e di guidare la Gran Bretagna fuori dall’UE. Processo che tra l’altro non è affatto semplice: essa deve comunicare formalmente di voler lasciare l’Organizzazione appellandosi all’articolo 50 del trattato di Lisbona e successivamente entrambe le parti dovranno iniziare una serie di negoziazioni per ridefinire gli accordi che regolano i rapporti commerciali bilaterali.

Una volta invocato l’art. 50 verrà innescato un processo politico irreversibile che stabilisce un limite di tempo di 2 anni per il completamento delle procedure.

La May ha dichiarato che l’art. 50 non verrà invocato prima della fine di quest’anno in modo da avere del tempo per strappare un accordo preliminare vantaggioso ancora prima di iniziare le trattative.

Quindi il destino dei cittadini inglesi in Europa e di quelli europei in Gran Bretagna come anche tutti gli aspetti riguardanti le future normative che regolamenteranno i rapporti tra le due parti, devono ancora essere definiti.

Stiamo però tralasciando l’aspetto secondo me più importante dell’intera questione: quali  sono le vere motivazioni che hanno spinto il Regno Unito a questa scelta? O meglio quali erano le varie argomentazioni delle due fazioni? I sostenitori del leave dicevano di essere in qualche modo trattenuti dall’Unione Europea, la quale aveva imposto loro troppe regolamentazioni sul business,  volevano inoltre che la Gran Bretagna riprendesse il pieno controllo dei suoi confini (per motivi di immigrazione e minaccia di terrorismo) e riducesse il flusso di persone che si trasferiscono per motivi di studio o lavorativi.

Inoltre contestavano l’idea di “un’immagine sempre più stretta” tra gli stati membri dell’UE che loro vedevano come un movimento verso la creazione degli “Stati Uniti d’Europa”.

Chi ha votato per il remain sosteneva una grande spinta all’appartenenza, argomentava la maggiore facilità per la vendita dei prodotti agli altri Stati membri e il fatto che il flusso di migranti, la cui maggioranza è composta da giovani alla ricerca di lavoro, è motore della crescita economica e d’aiuto per pagare i servizi pubblici. Inoltre dicevano che l’immagine della Gran Bretagna nel mondo sarebbe stata piuttosto danneggiata dal leave e che sarebbero stati più sicuri come parte del’Unione piuttosto che da soli, per la propria strada.

Personalmente comprendo le motivazioni portate da entrambe le fazioni però ritengo che  l’apertura tra gli Stati, i vari Continenti, il Mondo, soprattutto per i giovani è una grossa opportunità di ampliamento dei “confini” conoscitivi, culturali e di crescita personale. Viaggiare, vedere posti nuovi, realtà sconosciute, sono esperienze formative indescrivibili e agevolarle è considerabile come investimento in vista di una società e di un mondo diverso, più libero e composto da persone che possono vantare una necessaria conoscenza della cultura e del Mondo.

Chiudere quindi i confini, soprattutto tra gli Stati Europei, in questo periodo colmo di problematiche legate al terrorismo, immigrazione, ecc. non la ritengo una scelta molto appropriata, visto che vantaggi rilevanti finora non si sono ancora verificati. Inoltre facendo una scelta differente, magari considerando altro oltre all’aspetto economico, che tra l’altro è quello che regola la società attuale, avrebbero potuto risparmiarsi anni di pratiche burocratiche, di negoziazioni, di innescare un lungo e complesso processo di distacco che si ripercuoterà sui lavoratori e studenti europei in Gran Bretagna e viceversa. Non sono contraria al fatto di mantenere la propria cultura anzi, però collaborare per poter creare un mondo migliore è un nobile obiettivo. Magari l’Europa dovrebbe dare ancora maggior peso all’unità dell’Uomo su obiettivi comuni che riguardano lo sviluppo e il progresso dell’umanità stessa, alla formazione più che al continuo arricchimento dal punto di vista economico.

Myriam - XII cl.




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