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Un’ultima chiacchierata con il Dott. Fingerle

Non ho conosciuto il dott. Marcus Fingerle, non ho avuto modo di ascoltarlo, conosco indirettamente il suo atteggiamento pedagogico attraverso alcune tracce di suoi interventi e soprattutto attraverso le diverse testimonianze di chi invece ha avuto l’opportunità e forse il compito di raccogliere i suoi insegnamenti.
Ora ho tra le mani la trascrizione di uno dei suoi ultimi interventi portati alla comunità di Rovereto che lo ha interrogato a proposito dell’esperienza che i giovani stanno vivendo in questo tempo e vorrei cercare di rileggere il suo messaggio per trattenerne l’essenza.
Le considerazioni di cui ci rende partecipi sono il punto di partenza della sua esposizione, tutto il suo lavoro si è basato su un’attenta osservazione dei comportamenti dei giovani che gli sono stati affidati perché li accompagnasse in qualità di terapeuta, a Verona nel suo piccolo studio. Attraverso le sue osservazioni ci conduce a constatare che i bambini sembra abbiano risentito meno delle diverse restrizioni e dei cambiamenti repentini di abitudini che l’attuale situazione ci ha portato a subire. Ne hanno risentito meno degli adulti, molto di più ne hanno risentito gli adolescenti.
I bambini si affidano, ci dice, e percepiscono la realtà attraverso l’interiorità di chi li circonda, per questo gli adulti consapevolmente possono fare molto per loro, cercando di vivere le esperienze con il giusto sentimento di responsabilità, per proteggerli.
L’adolescente non ha più questo privilegio, non è più in relazione con il mondo attraverso l’interiorità di chi vive a lui vicino, non sente più di essere un tutt’uno con ciò che lo circonda, è separato, ha perduto, per usare il linguaggio simbolico che il relatore ci propone, la sua innocenza primigenia.
I bambini sono ancora vicini al mondo spirituale, lo sentono ancora come una realtà presente, alla quale si affidano, e che sono disposti ancora ad amare fiduciosamente immergendosi nell’interiorità degli adulti e che per questo colgono nella più netta verità.
L’innocenza infantile è dotata di un forte istinto alla libertà, che si manifesta nell’agire dei bambini sempre fantasiosi e creativi, tratti che ci inducono a riconoscerli come divini. L’adolescente, perdendo questo sentimento di comunione con il tutto, perde la sua innocenza, si vergogna, per la prima volta si identifica con il suo corpo che gli fa percepire i suoi limiti che possono apparirgli intollerabili perché imperfetti come imperfetto gli appare il mondo che fino a qualche tempo prima gli si mostrava nella sua luminosa aurea.
In questa nuova disposizione possono intuire che non sono solo il loro corpo, ma la cultura in cui sono immersi li investe e a quel corpo vorrebbe identificarli chiedendo loro prestazioni continue a cui difficilmente ritengono di essere all’altezza.
Allora il corpo può essere ferito per percepirlo, per sentirne un qualche movimento d’anima, oppure può essere modellato per inseguire una perfezione irreale e irraggiungibile che la sola realtà sensibile non può mai restituire.
Non sanno ciò che vogliono, ma sanno ciò che non vogliono; sì, la volontà umana è complessa. Questo stato d’animo li fa vivere nella paura o forse nell’angoscia.
Paura e angoscia, ci dice Fingerle, sono i sentimenti che ci attraversano particolarmente in questa epoca. Sono due sentimenti apparentemente simili, ma non sono sinonimi.
La paura si manifesta quando ci troviamo a un bivio, a una scelta di fronte alla quale siamo chiamati ad esprimerci. Le alternative sono chiare e per questo limitate e non richiedono una vera partecipazione della nostra individualità: A o B sono due vie possibili, ma che non determiniamo noi.
Diversa è l’angoscia. L’angoscia è un sentimento di tutt’altra natura. È l’anticamera della libertà. Per farcela comprendere, Fingerle ci propone l’immagine di Adamo nel Paradiso terrestre di fronte all’albero della Conoscenza. Il comando divino di non mangiare il frutto dell’albero pone l’uomo adamitico in una condizione nuova, scopre che ha una possibilità che fino a poco prima non sapeva di avere.
La sua quiete, la sua innocenza vengono esposte a un pericolo verso cui è attratto, ma che teme, quel pericolo verso cui potrebbe sporgersi, non solo potrebbe fargli perdere lo stato primigenio grazie al quale poteva sentirsi parte del tutto, ma lo esporrebbe all’ignoto. La consapevolezza di avere delle possibilità lo rende libero, è lui che può determinare sé stesso, separandosi dal mondo può farsi egli stesso Dio.
Tuttavia di fronte a quella possibilità, il giovane uomo prova il sentimento di angoscia, oltre quella soglia c’è una conquista possibile, ma anche la perdita rassicurante del Paradiso terrestre. Quella conquista gli apre diverse possibilità che non conosce e che inevitabilmente lui stesso contribuirebbe a crearsi mentre agisce. Mentre esprime la propria libera volontà, si espone al pericolo di perdere ciò che gli è già noto.
L’angoscia è una porta stretta che gli uomini devono avere la forza di sostenere per divenire uomini liberi, devono avere la capacità di riconoscerla con gratitudine per non fuggirla. In ogni epoca e tanto più nella nostra contemporanea, si è spinti a evitare l’incertezza creativa delle scelte individuali a favore di scelte alternative per aggirare l’angoscia e per sostituirla con il sentimento della paura.
La paura di che? Di perdere la comunanza di una socialità la cui appartenenza ci illude di farci sentire accettati, di essere efficienti e funzionali a un sistema che ha bisogno, per funzionare, che non lo si metta in discussione con il brivido dell’angoscia; meglio la paura, perché è controllabile.
Fabbricare paure per arginare il sentimento dell’angoscia, continua il nostro relatore, è proprio delle società in cui il potere, in qualsiasi forma si manifesti, materialista, efficentista, consumista, fascista, comunista, richiede un consenso che non prevede la libera iniziativa perché destabilizzante, in cambio però, elargisce stabilità e una parvenza di sicurezza.
La paura per essere superata non richiede creatività, ma un certo controllo, conoscenze certe, efficienza, tutto ciò che l’intimo anelito di un adolescente respinge o vorrebbe respingere fortemente per corrispondere a quella voce interiore che non può che essere libera.
Cosa possono fare gli adulti verso cui gli adolescenti guardano e che sempre più sentono lontani?
Forse trattenere quell’atteggiamento critico verso quei giovani che non riconoscono più, perché quell’atteggiamento rende gli adulti indegni di essere rispettati. Imparare a vederli oltre le apparenze li educherebbe a riabilitare quell’adolescente che continua a militare dentro ognuno di loro e che ha il compito di produrre angoscia, sentimento che i giovani, con la loro refrattarietà, non sono ancora disposti a barattare con la paura al prezzo della rinuncia. Forse per avere ancora una possibilità di essere rispettati e di essere un esempio, gli adulti dovrebbero imparare ad accettare la realtà così com’è veramente, e affrontare l’angoscia che ciò comporta, non fuggirla, loro prima di tutto, per riconoscerla e superarla fidandosi di una comunità umana che, proprio perché tale, non ha paura di esplorare strade diverse.
Perdere il Paradiso perduto significa darsi la possibilità di amare queste nuove generazioni che sembrano disorientate e accompagnarle sapendo lo sono per necessità evolutiva.
Grazie al dott. Marcus Fingerle per avermi dato l’opportunità di toccare e riflettere temi così centrali e che sono certo tocchino tutti coloro che non si rassegnano a partecipare a un’Umanità frammentata e in tensione. Mi scuso inoltre se nell’intento di incontrare il suo pensiero posso averlo travisato.

m. Valerio Falcone

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Ho incontrato le parole di quest’uomo straordinario circa quattro anni fa, e devo a lui molto di quello che sono ora come genitore e come educatrice, soprattutto nei confronti degli adolescenti.
Marcus sapeva parlare al cuore e con il cuore, con una leggerezza ed una allegria, che nulla avevano a che fare con la superficialità che ormai dilaga in questo mondo. Sapeva trasformare tutta la sua grande preparazione in un gesto realmente amorevole, capace di accogliere ed accompagnare ogni essere per quello che è. Mi ha insegnato che l’educazione è principalmente una questione di “sguardo” che, nel senso etimologico del termine, significa “stare in guardia, osservare con attenzione, avere cura” ed è quindi non solo un’esperienza visiva, ma una attività dell’Io.  “Guardare” un ragazzo, comprendere l’origine del suo dolore ed imparare a far tacere il giudizio, generando uno spazio libero, un porto sicuro, in cui lui possa davvero esprimersi e sentirsi amato per quello che è, non valutato per quello che fa.
Questo clima di fiducia reciproca è il presupposto imprescindibile per poterlo davvero educare, guidare, a volte distogliere, proteggere, fermare, fargli vivere le conseguenze delle sue azioni, rinunciando al gesto del “controllo” e trasformandolo in un “sincero interesse” per lui.
Imparare ad amarlo non “nonostante” il suo sintomo, ma amare proprio quello, con una attenzione che va oltre, al di là, e che ricerca sempre la domanda celata dietro quel comportamento.
Nel suo studio Marcus ha sicuramente saputo “toccare” ed “incontrare” molti ragazzi ma, forse ancora più importante, ha saputo trasformare profondamente l’atteggiamento di molti genitori che, come me, avevano una esperienza difficile ed avevano sempre la sensazione di non riuscire davvero a raggiungere il proprio figlio. Ha richiesto un lavoro profondo, una totale conversione, ma i ragazzi, anche quelli che sembrano più distanti, sono sempre disponibili ad accoglierci se siamo capaci di abbandonare le nostre aspettative e ad amarli davvero per quello che sono, anzi, amarli solo per il fatto che “sono”.
Grazie Marcus, risuoni in ogni parola piena di confidenza e complicità che ho riconquistato, e vivi in ogni sguardo amorevole e sincero che rivolgo ai ragazzi.

m. Raffaella Cora


Marcus Fingerle è stato un docente di storia e filosofia. Specializzato in pedagogia clinica presso l’Università di Scienza dello Spirito al Goetheanum, Dornach (Svizzera) e successivamente in consulenza pedagogica presso l’Istituto Janusz Korczak di Nürtingen (Stoccarda), ha svolto attività di formazione anche all’interno del Gruppo di Studio e Ricerca Medico-Pedagogica di Mirano (Venezia).
Profondo conoscitore e originalissimo divulgatore di Scienza dello Spirito, è stato discepolo diretto del Dottor Giuseppe Leonelli e del Prof. Henning Köhler. Ci ha lasciati il 9 giugno 2021.


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